martedì 19 novembre 2013

IMPARARE L’ARTE DEL VIVERE: LA TESTIMONIANZA DI PAVEL ALEKSANDROVIČ FLORENSKIJ




Prima che leggiate, volevo semplicemente ringraziare l'autore di questo articolo: Giuseppe Malafronte. Siamo amici dal 1999, chi ci conosce sa che abbiamo sempre avuto un rapporto di amore-odio essendo due persone completamente diverse, appartenenti a due mondi lontani...eppure le forti discussioni, i lunghi periodi di silenzio non hanno mai causato una rottura nel nostro rapporto ma anzi...GRAZIE GIUSEPPE per aver creduto nel mio blog!



Mi chiamo Giuseppe Malafronte 30 anni, di Gragnano (Na), laureato in filosofia e in teologia. La mia ricerca si è focalizzata sul pensiero russo tra la fine dell'Ottocento e il Novecento specializzandomi sulla figura di Pavel A. Florenskij. Ho scelto questo autore perchè incarna, con il suo pensiero e la sua opera, il desiderio di portare organicità ed armonia in ogni anfratto del sapere. Sono autore di diversi articoli e saggi specifici, curo anche il sito www.sulletraccediflorenskij.tk




Imparare l’arte del vivere

La testimonianza di Pavel Aleksandrovič Florenskij


«Che cosa ho fatto io per tutta la vita? Ho contemplato il mondo come un insieme, come un quadro e una realtà unica, ma in ogni istante o, più precisamente, in ogni fase della mia vita, da un determinato angolo di osservazione»[1]


«La vita vola come un sogno, e non si fa in tempo a far niente in quell’attimo che è la vita. Perciò bisogna apprendere l’arte del vivere, la più difficile e la più importante delle arti: quella di riempire ogni ora di un contenuto sostanziale, pensando che quell’ora non tornerà mai più. […] Forse in questo si nasconde un significato profondo, dato che questa situazione si ripete sempre, nel corso di tutta la vita: l’arte della gratuità»[2]



Ormai al solo sentire parlare di cose come filosofia, cultura, pensiero, riflessione, si storce il naso quasi fossero semplici discorsi oziosi, che in tempo di crisi possono trovare il tempo di una chiacchiera da bar o, peggio ancora, di un dialogo tra snob. 

Si è operata una scissione netta tra ciò che è la vita reale e il mondo del pensiero, a cui la maggior parte delle persone guarda con disprezzo, o al più con indulgenza. Sempre più il pensiero, già da Hegel visto come la nottola di Minerva che arriva quando i giochi sono già tutto fatti, non dialoga più con le esperienze vive. 

In questa scia conoscere personaggi che, al contrario, hanno fatto del proprio pensiero un’esperienza fondamentale di vita e viceversa è di straordinaria importanza per comprendere come il sapere, il ricercare e il conoscere possano, fortemente, influenzare le scelte. 

È molto facile se l’intellettuale sia uno scienziato, con i suoi bravi brevetti a testimoniare i suoi progressi: come fare invece con quelle che Dilthey definiva le scienze dello spirito? 

Potrebbe aiutare a superare tutti questi pregiudizi la figura di Pavel A. Florenskij (1882-1937), teologo, scienziato, filosofo, cultore di arte ed esperto linguista russo, morto sotto il regime comunista l’8 dicembre 1937. Pensatore senza etichette, difficilmente collocabile, anche nel contesto ecclesiale di cui entra a far parte nel 1911 divenendo sacerdote, dopo il matrimonio del 1910 da cui nacquero ben 5 figli. 

Egli sperimenta, fino al martirio, un solo precetto: fedeltà alla ricerca di una totalità organica, di un nuovo approccio all’esistente, che potesse contemplare tutto il mondo come un insieme senza perderne però nemmeno la più piccola parte particolare. 

A partire da questo principio Florenskij esplora tutti i campi del sapere umano cercando, con l’ingegno acuto che si ritrova, quelle implicite interconnessioni tra ogni ambito della conoscenza, che sfuggiva ai più. Si dedica alla matematica prima, poi alla filosofia e alla teologia, riapproda alla fisica con l’avvento del regime comunista che ha interdetto l’approfondimento teologico, partecipa alle commissioni sui beni artistici ecclesiastici, contribuendo a salvarli dal progetto di distruzione primigenio. 




Ma è ancor di più la sua vita che risulta armonicamente organizzata secondo ciò che studia e riflette. Non concede sconti né a se stesso, né agli altri: in piena temperie comunista non rinuncia mai al suo abito talare, ricevendo il riconoscimento dello stesso Trockij per la sua linearità. Ancora di più, per restare fedele ai suoi principi, rinuncia persino, nonostante la moglie e i figli, a scappare, a emigrare in Francia, come molti intellettuali suoi amici fecero in quel tempo. 

Arrestato una prima volta nel 1928, viene di nuovo arrestato nel 1933, con la ridicola accusa di essere tra gli organizzatori di un golpe anarchico contro il regime. Condannato dopo essere stato costretto a confessare, inizia il suo lungo viaggio verso i campi di lavoro siberiani. Lentamente la sua esistenza sarà cancellata, fino a quando, un giorno viene comunicata alla famiglia che il detenuto Florenskij non era più abilitato all’invio di lettere. Soltanto nel 1989 si scoprirà la data certa della sua morte: l’8 dicembre 1937, fucilato nei pressi di Leningrado e sepolto in una fossa comune. 

La sua memoria fu praticamente cancellata, i suoi scritti divennero più rari ed introvabili dei frammenti degli autori presocratici, le sue ricerche interrotte o sfruttate anonimamente (come il brevetto del liquido anticongelante): tutto sembrò andar perduto… 

Eppure oggi il comunismo è passato e di Florenskij si parla ancora, riscoprendone, come un tesoro prezioso, aspetti innovativi, soprattutto per ciò che riguarda l’interdisciplinarietà e il pensiero complesso. 

L’invito è, in particolar modo per chi “non si sente portato per la riflessione”, a leggere alcuni suoi scritti (tra tutti: Le porte regali dell’editore Adelphi e non Dimenticatemi le lettere dal gulag edite da Mondadori) per comprendere come il pensiero si faccia vita concreta e come esso possa irrorare la vita, donandole il coraggio della testimonianza fino al dono della vita. 

In tempi in cui facilmente si scende a patti con la propria morale, con i propri principi, Florenskij indica che il rigore scientifico può, deve, anche farsi uno stile di vita. 

Magari, perché no, un libro letto in più, una riflessione ragionata, ci costituiranno cittadini più consapevoli! 



«Retaggio della grandezza è la sofferenza, sofferenza che viene dal mondo esterno, e sofferenza interiore, che viene da noi stessi. Così è stato, è, e sarà. […] Sì, la vita è fatta in modo che si può dare qualcosa al mondo solo pagandone il fio con sofferenze e persecuzioni. E più il dono è disinteressato, più crudeli sono le persecuzioni, e dure le sofferenze. […] Per il dono della grandezza è l’uomo che deve pagare con il proprio sangue»[3]



[1] P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2006, p. 379.

[2] P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2006, pp. 374-375.

[3] P. A. Florenskij, Non dimenticatemi. Le lettere dal gulag del grande matematico, filosofo e sacerdote russo, Mondadori, Milano 2006, pp. 374-375.





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